Racconto di Claudia Buzzi su Beppe bambino.
La pioggia scende lentamente in un qualsiasi pomeriggio autunnale, l’aria si fa sentire come in un presagio di temporale estivo ormai passato. Il selciato di via Garibaldi è lucido e rispecchia le case di quella strada: semplici e modeste proprio come gli abitanti della piccola cittadina oltrepadana. Un carretto passa lentamente tirato da un cavallo troppo vecchio per poter trainare tanto peso. Il ritmo dei suoi zoccoli risuona per tutta la piazza e la voce del fabbro alta e forte gli fa da controcanto. “Donne! Oh bèi dònn! L’è rivà âl mulitâ!”
Un gruppetto di bambini schiamazza e ride avvicinandosi al carretto, incuriositi guardano il cavallo e poi correndo se ne vanno passando obbligatoriamente dentro ad una pozzanghera. Vengono velocemente sorpassati da un bambinetto esile, tutto nervi e gambe; il suo ciao risuona cristallino come la campane del tibürei del Duomo, la sua mano destra si alza verso il cielo per salutare mentre la sinistra stringe un qualcosa di misterioso.
Giuseppe, il ragazzino in questione, entra in una casa situata nella via adiacente alla piazza. E’ ansimante per la corsa, veste in modo umile, un paio di calzoncini alla zuava con le toppe sul sedere e sulle ginocchia, un giaccottino che forse una volta era marrone e gli zoccoli ai piedi. Sedendosi su un gradino di quella scala buia pensa soddisfatto al suo spettacolo di burattini e ormai sicuro di riproporlo all’indomani nel cortiletto di casa sua usando come baracca il “cesso comune” degli abitanti di quell’umile palazzina di via Garibaldi, si toglie uno zoccolo per massaggiare il piede dolente.
Già…correndo a quel modo riusciva sempre a farsi venire le vesciche ai piedi, per fortuna il nonno Francesco sa come curare queste buffe ma dolorose bollicine. Pensando al suo vecchietto guarda soddisfatto il nuovo burattino. Che bello! Nonno “Cichéi” è proprio bravo a scolpire il legno e a ricavare le teste dei burattini! Questo burattino però ha qualche cosa di speciale: i lineamenti sono buffi, un naso lungo, una bocca larga, un cappellino verde e il bastone che parte dal collo è ricoperto da una stoffa lucida, verdina che ricorda di aver intravisto sotto la gonna di sua mamma, forse era la fodera?
Il pensiero del ragazzino vola subito agli altri burattini che ha riposto ieri in un piccolo ripostiglio a metà scala dove in inverno si ripone il “prete” ancora caldo appena tolto dal letto e dove si trova anche il soldo che ti porta la vecchina in cambio di un dentino da latte. Sale di corsa l’ultima rampa di scale inciampando in quel maledetto gradino rotto con in mano il suo “Buricinèla”. Apre il ripostiglio chiuso da un gancio arrugginito e cercando con la mano, perché al buio è impossibile scorgere l’interno, a uno a uno tira fuori i suoi amici burattini.
Li appoggia delicatamente sui gradini e poi salendo su una scala a pioli appoggiata al muro apre il lucernaio che dà direttamente in soffitta per avere un pò più di luce anche se la giornata è uggiosa. La luminosità ormai crepuscolare dona un non so che di magico ravvivando i volti dei burattini rendendoli quasi reali. Giuseppe s’incanta a guardarli uno per uno.
Mafalda la strega cattiva, Bertoldo e Bertoldino i due furbetti, il Re Fagiolo il burbero benefico, Gigèto il burattino più brutto e più sfortunato, è quello che si prende sempre le botte da tutti, ma al prossimo teatrino Gigèto sarà il più fortunato: non entrerà in scena così nessuno potrà picchiarlo. Li osserva e si accorge che manca la più bella: Marianna. Riapre il ripostiglio e sempre a tentoni con la mano cerca il suo piccolo burattino ma non la trova. Sente tra le gambe un fruscio strano, è il gatto napoleone che ha in bocca un topo.
No! E’ la sua amata Marianna. “Brutto gattaccio! Il papà ieri ti ha detto: ma va a ciapà di rat! Mòla l’oss!” Napoleone lascia la sua preda di legno molto volentieri perché poco appetibile e va in soffitta alla ricerca di qualche ratto domestico. Giuseppe guarda la sua bella Marianna, il rossetto è sparito dalle labbra e anche il nero delle sopracciglia, ma niente paura il nonno gli ha insegnato a truccare i burattini con un tizzone spento per il nero e con la tintura madre per il rosso. Per fortuna la mamma è stata un’infermiera e certi medicamenti li ha ancora nell’armadietto segreto che solo lei può aprire…almeno così crede.
Intanto che pensa alla nuova trama della recita dell’indomani canticchia la canzoncina della Marianna che la va in campagna quando il sole tramonterà… Ma perché la Marianna va in campagna al tramonto del sole? Lui quando d’estate va dallo zio Pipino, in campagna ci va al mattino e non alla sera. Boh?! Guardando il lucernaio che non dà quasi più luce perché ormai è sera, al buio ripassa ad alta voce la storia della prossima recita dei burattini. Dunque: Mafalda, la strega cattiva che ha la voce della sua maestra quando sgrida i bambini che non studiano, dichiara guerra al castello di re Fagiolo. Intanto Bertoldo e Bertoldino consigliano il grande re di scappare per evitare il pericolo.
Giuseppe pensa con orgoglio all’ultima volta che ha mimato questa storia con i suoi burattini. Ridevano a crepapelle non solo i bambini ma anche le donne, i ragazzi e dei militari che si erano fermati in piazza per qualche minuto, per fortuna senza cavalli altrimenti avrebbe poi dovuto pulire i loro escrementi come era già successo una volta. Marianna sarà la vera protagonista e alla fine della storia riuscirà a conquistare il re Fagiolo e lo sposerà sconfiggendo definitivamente la brutta e cattiva strega.
E Buricinèla? Lo guarda pensieroso, mentre il piccolo burattino sembra voglia stare solo in braccio al suo Giuseppe. Intanto che pensa alla strategia migliore usando il nuovo amico per rendere la situazione più comica e grottesca, sente una risata fragorosa del papà. E’ già tornato dal lavoro, pensa, chissà se ha finito il teatrino dell’orfanotrofio. E’ bello avere un papà che fa come lavoro il capomastro in un’impresa edile e che sa costruire un teatro: il palcoscenico, il bocca scena, il proscenio, la graticciata, il muro portante senza colonna centrale, la platea ovale con gli stucchi alle pareti, tutti particolari che Giuseppe noterà poi più avanti nell’età, per ora si accontenta ogni tanto di andare su quel palco in costruzione per esercitare la sua passione.
Fa per entrare in cucina quando si accorge che c’è una terza persona, ne sente la voce ma non riesce ad individuare chi è, solo quando papà dice chiaramente il suo nome capisce che è la signora Cecilia quella vicina di casa che viene sempre dalla mamma per farsi fare le punture. La pancia del ragazzino curioso comincia a brontolare per la fame e spera che la signora se ne vada via al più presto. Nel momento in cui decide di entrare nella stanza e di chiedere alla mamma quando si mangia, il timbro della voce di papà Eugenio si fa triste all’improvviso. “ …Sono passati ormai 17 anni ma il ricordo è in t’la mé meent come se fosse ieri. Ero Caporalmaggiore al Comando della prima Squadra, terzo Plotone, seconda Compagnia, terzo Reggimento Granatieri. Il mattino del 15 giugno, âm paar, se non mi sbaglio ha inizio l'attacco nemico. Avevano assegnato ad ogni squadra la nuova classe chiamata alle armi, i cosiddetti "ragazzi del '99", i giovanissimi del reggimento. Eravamo in trincea quando sentiamo le scariche di mitragliatrici suflarci in ti urèeg, l’udur âd füm e di sangue dei feriti e di mòrt l’era molto forte, adritüra l’uduur l’era insopportabile”.
Giuseppe sempre nascosto dietro alla porta si trattiene dal ridere forte nel sentire il racconto colorito del papà, sente anche la mamma che rimprovera il marito per il parlare un pò troppo scurrile davanti alla signora Cecilia. Eugenio si difende dicendo che è la pura e sacrosanta verità: “Ma Tognu, se l’è insì l’è insì! Sti ragazzini non erano pronti prâ andà in guèra, avevano ancora la têta in buca âs poe dì, vurivân la mama e così pâr difeend un ragazzo del ’99 ci ho rimesso la gamba…” …“Ma ha trovato la moglie!” ribatte la signora Cecilia, accorgendosi dell’ora tarda. Si accomiata ringraziando per il bel pomeriggio passato insieme e nell’uscire si scontra con Giuseppe. Gli dà un buffetto affettuoso sulla guancia dicendo che i suoi teatrini sono davvero molto divertenti. Il ragazzino ringrazia e corre ad abbracciare il suo papà facendogli vedere il nuovo burattino del nonno Cichéi. Papà Eugenio, con il suo fare sempre bonario, sbotta in una calda e fresca risata: “ Ma sì… cosa ci vuol fare signora Cecilia, guardi che sbandarato di un ragazzo, ci piace far ridere la gente!”
La vera storia artistica di Beppe Buzzi e Peppino Malacalza comincia nel 1942 all’inizio della seconda guerra mondiale, proprio come recita la poesia di Malacalza: “Quând i sèn mis insèmâ, int’âl quârantadü, â gh’è scupià la guèrâ e son rivà lur dü”. La poesia si riferisce sì, a Buzzi e Malacalza ma indirettamente ai due personaggi nati negli anni ‘70 con la rivista “Tütt al mond l’è Vughera” e precisamente Pipei Cristeri e Giuan Cianela... Leggi tutto.
Gianfranco Boffelli nasce a Voghera il 6 aprile del 1938. Il periodo della gioventù di Boffelli negli anni ‘50/’60 dà una forte impronta a tutta la sua vita. Gli studi per la musica, e in particolare per la chitarra, gli fanno comprendere che l’arte va spesa a favore di chi è meno fortunato. Infatti oltre che ad impegnarsi negli studi in maniera ineccepibile diventando non solo musicista ma anche ragioniere, si dedica in modo sistematico e continuativo alla sua parrocchia, in un quartiere di Voghera, Pombio, che proprio in quel periodo di storia lo vede in crescita ma anche in difficoltà... Leggi tutto.
Angelo Gugliada (per tutti Lino) nasce a Voghera il 14 marzo del 1931. Dopo gli studi all’Istituto Tecnico Agrario Carlo Gallini di Voghera si impegna nella fabbrica di famiglia dove porta un contributo tecnico progettuale non indifferente. La particolarità del suo carattere è la grande generosità. Infatti fa parte della Croce Rossa come volontario e dell’Avis. Diventa un assiduo e studioso Radioamatore conseguendo la patente con la sigla I2KNJ, conducendolo sempre al fianco della protezione civile nei momenti critici di calamità naturali... Leggi tutto
Luigi Alpago nato a Lungavilla il 4 settembre del 1935, in arte viene conosciuto attraverso le varie rappresentazioni di Buzzi, come Luigino Stereodisco Voghera. Il suo nome rimane impresso per sempre nelle menti dei vogheresi e il suo negozio in via Matteotti è la sede di tutte le orchestre della zona per la sua preziosa consulenza musicale. Buzzi lo incontra quando ha bisogno di particolari musiche per drammi, esempio Barabba, oppure spettacoli come par i düsent’an d’la cità âd Vughera. La capacità di Luigino è proprio quella di trovare i sottofondi per qualsiasi tipo di spettacolo... Leggi tutto.
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Dagli inizi della carriera artistica fino al 1961. Vai alla pagina
Dal 1961 diventa la "casa" di Beppe Buzzi per le sue rappresentazioni Vai alla pagina
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La preghiera scritta dalla figlia Gabriella in onore del padre, letta durante la cerimonia funebre da Luca Uttini. Leggi tutto
La Cooperativa Teatro Musica Iriense. Leggi tutto
La Scuola di animazione teatrale "Albino Battegazzore". Leggi tutto